15/07/11

Il titano inginocchiato

Tremava ancora il cuore a Perseo mentre sfrecciava veloce nel cielo. L'impresa era stata lunga e assai pericolosa. A ricordarglielo, c'era ancora l'immagine con tutte quelle strane rocce nella terribile foresta nera, su, nel Grande Nord. Non rocce normali, ma uomini pietrificati nelle pose più bizzarre e terrificanti.
Eppure lui ce l'aveva fatta!
Nello zaino, oramai, c'era la testa di Medusa e il compito affidatogli dal suo signore era stato portato a termine. Ma, a pensarci bene, prima di tornare verso casa, c'era ancora una piccola faccenda da sbrigare: dare una bella lezione a quel rude titano di nome Atlante, che non aveva voluto dargli aiuto e ospitalità nella prima fase della sua missione.
Punirlo sarebbe stata un'impresa da ragazzi.
E infatti, non appena Perseo tirò fuori la testa di Medusa dallo zaino, Atlante si irrigidì all'istante e il suo fardello si trasformò in una montagna gigantesca che avrebbe sorretto per sempre il cielo, con un peso così immenso da costringelo ad inginocchiarsi verso il sole che tramonta nel nord Africa.
Fino alla fine dei suoi giorni.
L'Alto Atlante scendendo dal Tizi n' Tichka
Questa l'origine del Adrar n Dren, secondo la mitologia greca. Una catena montuosa che in lingua berbera significa il Monte dei monti e che gli occidentali chiamano semplicemente Atlante.
Un fenomeno naturale colossale, che con i suoi 700 chilometri attraversa Marocco, Algeria e Tunisia, oltrepassando in alcuni punti i 4.000 metri di altezza.

Noi l'abbiamo attraversato nel suo versante occidentale, diretti da Marrakech verso il Grande Sud e passando per il Tizi n' Tichka, il più alto passo carrozzabile in terra marocchina.
Ammetto che non eravamo minimamente preparati a ciò che questo angolo d'Africa aveva da offrirci e che è stata un'esperienza davvero memorabile.

Che colori!
Ecco ... proprio i colori sono ciò che non scorderò mai di quelle 4 ore passate a girovagare tra i tornanti di una delle più alte catene del continente africano.
Verde, rosso, ocra, sabbia, giallo, nero, marrone.
Accostati con un incredibile gusto per le sfumature più tenui e i contrasti cangianti, ordinati con cura meticolosa dalla mano divina all'opera in questo grande souk del pianeta Terra.

Lasciamo Marrakech portandoci dietro per molti chilometri il rosso delle sue mura e dei suoi palazzi nel paesaggio che ci circonda. Poi, qualche curva, ed ecco che tutto cambia. Il rosso si tramuta in ocra e il verde intenso della vegetazione si attenua per diventare una sfumatura del tono dominante. 
La strada sale, su, sempre più su. Fino a portarci a un passo dal cielo assolato che si riflette nel nero brillante di rocce create milioni di anni fa. E mentre ci avvicianiamo alla cima, lo sguardo comincia a spaziare fra dune dorate.

Sembra di esserci persi in un immenso mare di sabbia. Eppure non c'è nemmeno un granello di polvere che si alza trascinato dal vento che soffia impetuoso intorno a noi.
No, non è sabbia ciò che ci circonda. O forse è sabbia pietrificata ai tempi di Perseo. Sabbia accatastata in enormi dune ai tempi della Creazione e ora attraversata da vene verdi irrigate dal sudore dell'uomo che ancora vi abita.
Basta una piccola sorgente per infondere una nota di verde brillante in un paesaggio lunare. Ma l'occhio fatica a cogliere ciò che è stato creato dall'uomo (sia esso una distesa di campi ordinati o un villaggio apparentemente mimetizzato) in mezzo a tanta maestosa meraviglia della natura.

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