24/07/11

Montedidio

E' il mio primo Erri De Luca e so già che non sarà l'ultimo. Come so pure che metterò lui in valigia quando tornerò a Napoli. Si, prima o poi ci tornerò. L'ho promesso poco fa al gruppetto di napoletani che per due giorni ha contagiato di allegria il nostro albergo. Grazie a loro, e alla musicalità della loro parlata, le parole incise sulla carta hanno preso vita e mi sono entrate fino in fondo al cuore.

La prosa di De Luca è lirica, il suo modo di scegliere e accostare le parole regala le stesse forti emozioni del Maggiani de Il viaggiatore notturno. I suoi discorsi partono dal quotidiano, prendono a prestito oggetti e nomi della vita di tutti i giorni. Poi lui li sciacqua nella lava del Vesuvio e ogni parola ne esce con le doppie raddoppiate, con accenti dove non dovrebbero esserci, con parole inspiegabilmente troche e unite da apostrofi mai messi a caso. E così quella quotidianità si eleva, diviene metafora di ciò che di più nobile sta in ognuno di noi.

La storia narrata è amara e al tempo stesso poetica. Svela il degrado e indica nuove speranze.
Oggi li chiameremo episodi di pedofilia, violenza carnale su minorenni, sfruttamento del lavoro minorile.
Nella Napoli del dopoguerra sono solo fatti all'ordine del giorno, nulla di più. Si considerano fortunati quei ragazzini che a 13 anni possono andare a bottega ad apprendere un lavoro. Le madri abbassano lo sguardo quando la figlia minorenne rientra in casa dopo aver svolto il lovoretto al padrone di casa in cambio dell'affitto. Chi ha soldi si sente in diritto e dovere di mortificare chi non ne ha, di togliergli ogni forma di innocenza e dignità.

E' bella la figura di Maria, adolescente cresciuta suo malgrado troppo in fretta. Cresciuta nel modo sbagliato, scoprendo fin da subito ciò che di peggio la vita può offrire. Ma non per questo disposta a rinunciare all'ammore, quello con due emme.

E' commovente la figura del padre quasi analfabeta che, alla morte della moglie, spiega, cerca l'italiano: "Finchè è stata viva ho fatto la guardia alla sua vita, l'ho scippata alla morte giorno e notte. Mò nun pozzo fa' niente cchiù" Maria fa sì con la testa, io mi contento che lui cerca pace, ha accompagnato mamma fino alla fine dei respiri, di più non è voluto andare, nemmeno fino al cimitero.

E' mirabilmente descritta la figura del protagonista, un ragazzino che nel passaggio dall'infanzia all'adolescenza scopre, insieme all'amore e all'amicizia, tutti i dolori della sua misera condizione di essere umano. Sogna di volare, e intanto si allena con il bumeràn, sognando il giorno in cui potrà liberarlo dalla presa stretta delle sue mani.

Ma è don Rafaniello, con i suoi capelli rossi, gli occhi verdi e la grande gobba sulla schiena, quello che ricorderò più a lungo.
Un ebreo fuggito dal suo paese al termine degli orrori della guerra e in viaggio verso Gerusalemme. Verso quel Monte di Dio di cui parlano le scritture in cui crede. Solo che il destino lo porta a fermarsi a Montedidio, uno dei più poveri quartieri di Napoli, quello che domina dall'alto la città e il suo golfo. Qui la miseria è tanta e tutti camminano scalzi. Ma lui è un ciabattino e ne avrà di lavoro da fare prima che le sue ali siano pronte ad uscire dalla gobba e a farlo volare verso la terra promessa, seguendo la rotta delle cicogne.

1 commento:

  1. All'inizio ho pensato che il post non era interessante, ma devo dire che ero un po 'incuriosito su questo tema. Così, ho deciso di leggere il tuo post, e la mia opinione è cambiata radicalmente. Devo dire che il modo in cui è stata esposta questa roba mi ha colpito molto, ma in senso buono.

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