25/02/12

Ait Benhaddou, la kasbah degli Oscar

Alle volte basta un piccolo particolare nella vita di tutti i giorni per venir trasportati con il pensiero dall'altra parte del pianeta. E' quello che mi è successo questa mattina aprendo le finestre e scoprendo un cielo incredilmente azzurro e una temperatura decisamente insolita per metà febbraio. Non so per quale strano collegamento logico (o illogico!) mi sono rivista lì, alle porte del deserto, intenta a guadare un rivolo d'acqua per raggiungere Ait Benhaddou.

attraversamento del rio che separa Ait Benhaddou dalla "città nuova"


Era lo scorso febbraio ed eravamo nel sud del Marocco, a circa tre ore d'auto da Marrakech.
Nella testa gli incredibili colori dell'Atlante appena valicato, il cuore già rivolto a sud, verso Ouarzazate. Eppure ci lasciamo tentare e, una ventina di chilometri prima di raggiungere la meta, svoltiamo a sinistra lungo una strada polverosa che, come una lama sottile, attraversa l'hammada.

la kasbah di Ait Benhaddou e l' "hammada" che la circonda


Questo il nome con cui i locali chiamano il deserto roccioso che ci circonda.
Ci muoviamo sospesi tra l'ocra e il rosso Marrakech, in un'incredibile varietà di calde tonalità. Sopra di noi l'azzurro terso di un cielo che non conosce acqua, ma che oggi è attraversato da morbide nubi dalle forme bizzare.
Poi, di colpo, una chiazza verde vivo. E' la grande palmerie che abbraccia Ait Benhaddou, una delle kasbah più suggestive del nord Africa. O, almeno, la più familiare agli occhi dei cine-spettatori occidentali.




Ait Benhaddou

Da lontano fatichi a distinguerla, tanto è ben integrata, per colore e forme, nel panorama in cui è incastonata come una gemma preziosa. Capolavoro di bioedilizia o splendido esempio di architettura sostenibile, la definirebbero i guru dell'architettura contemporanea.
Ma appena lo sguardo riesce a coglierla e la mente comprende che non è un castello di sabbia costruito per gioco dalle mani onnipotenti di Allah, il cuore balza nel petto e prende a battere all'impazzata.
Perchè basta un secondo per rendersi conto che dietro a quel nome impronunciabile sperduto nel nulla c'è un luogo che, nell'immaginario occidentale, rappresenta la quintessenza delle kasbah (n.d.r. città fortificate) nord-africane e del sogno esotico made in Maghreb.

Ait Benhaddou: veduta dall'alto con la moderna "porta cinematografica"

Inutile tentare di resistere. Mentre girovaghi nel labirinto delle stradine ombrose, intento a raggiungere la sommità del colle da cui si gode una vista impareggiabile, i tuoi occhi continuano a cercare negli anfratti delle case ormai abbandonate Lawrece d'Arabia e Gesù di Nazareth. Poi, quando sei abbastanza in alto da poterla vedere, ti aspetti di veder Michael Douglas attraversare, a bordo del suo aereo, la grande porta appositamente costruita per le riprese di All'inseguimento della pietra verde.

Ait Benhaddou: eleganti decorazioni nell'architettura di paglia e fango
 
Pur consapevole che è impossibile veder sbucare ora, in una giornata qualunque di febbraio, il volto noto di una delle decine di attori hollywoodiani che si sono spinti fin qui per girare scene da Oscar, il tuo sguardo continua a vagare in trance, ipnotizzato dall'eleganza delle decorazioni intarsiate in edifici possenti, eppure raffinati, costruiti con un semplice miscuglio di fango e paglia.
Ti muovi piano, in silenzio, come una ladra in un sogno. Disposta a tutto, ma timorosa di dover rimettere i piedi nella realtà.
Sarà questo filo onirico che oggi, al risveglio, mi ha fatto apparire Ait Benhaddou davanti agli occhi, ancora assonnati, colpiti a tradimento dal sole splendente in un cielo azzurro di febbraio?

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